“Guerra tra archeologi”
La collezione Moser del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste
A poco più di 100 anni dalla morte di Ludwig Karl Moser (1845-1918) il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste dedica allo studioso una sezione del suo percorso espositivo.
Moser è tra gli archeologi più attivi tra fine Ottocento e lo scoppio della Prima Guerra mondiale sul Carso. Arriva a Trieste nel 1876 per insegnare matematica, fisica e scienze naturali nel ginnasio statale di lingua tedesca.
Giunge da Teschen, nella Slesia austriaca, e subito si confronta con una città vivace, plurilingue, attenta alle scienze. Accanto al tempo dedicato ai suoi studenti, si occupa di scavi, s’addentra nelle cavità carsiche, scrive, studia, ha intuizioni scientifiche importanti, diviene direttore per qualche anno del Club Touristi Triestini senza rinunciare a far parte del Club Alpino austriaco e della Società zoologica e botanica di Vienna. A Trieste conosce Carlo Marchesetti, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste dal 1876 al 1921, che ben presto diviene un suo rivale. Esperienze che Moser annota in alcuni quaderni e taccuini. Sono i diari di una vita che, nel 1915, prima di partire alla volta di Bolzano lascia a Trieste. Rimangono”silenti” in una scatola custodita nei depositi del Museo di Storia Naturale sino al 1999.
Da tempo il prof. Paolo Paronuzzi, dell’Università di Udine, studia la figura di Moser e da un quinquennio analizza sistematicamente i documenti che l’archeologo ci ha lasciato. Sei quaderni, tutti in tedesco, di descrizioni, note, appunti, disegni e schizzi, pagine dalle quali emerge lo spessore dello studioso e il tormento dell’uomo, la felicità delle scoperte e la delusione per i mancati riconoscimenti, gli scontri con i colleghi.
E’ l’inizio di un vero e proprio progetto di studio che porta anche a un attento lavoro di Deborah Arbulla sui numerosi reperti custoditi dal Museo Civico di Storia Naturale. Provengono dagli scavi condotti da Moser nelle grotte Cotariova (scavi 1891-1892), Tilde (scavi 1896), Pettirosso (scavi 1892-1915), Pocala (scavi 1903-1904-1905) e Moser (scavi 1898-1910). A questi si aggiungono anche reperti rinvenuti da Carlo Marchesetti nella grotta Tominz, a San Canziano, in Slovenia (scavi 1888 – 1894).
A Marzia Vidulli Torlo si deve, invece, un cammeo dedicato agli scavi di San Servolo che Moser avvia nel 1902 per conto della Commissione Centrale ai Monumenti di Vienna. I ritrovamenti sono conservati al Museo d’Antichità J.J. Winckelmann.
Seguendo la voce “narrante” dei Diari, il progetto espositivo, a cura di Paolo Paronuzzi e Deborah Arbulla, ripercorre gli anni di studio, le campagne di scavo nelle grotte dell’altopiano triestino e i rapporti personali, spesso non facili, intercorsi tra Moser e gli altri pionieri delle esplorazioni nelle cavità carsiche.
I materiali archeologici presentati in questa occasione, reperti originali scavati quasi tutti dallo studioso, sono quasi 150, la maggior parte visibili per la prima volta e inediti.
Importanti i reperti umani (Homo sapiens), tra cui due vertebre (atlante ed epistrofeo). Si conserva anche il cartellino associato alle vertebre, manoscritto, dove Moser si pone la domanda “Homo sapiens troglodytes?”.
Degna di nota è anche una cintura pettorale di pesce con delle incisioni. E’ l’unico dei reperti incisi scoperti da Moser nella Grotta del Pettirosso e pubblicati dallo studioso nella sua monografia del 1899 (Tafel II, numero 14) e, ancora prima, nel 1894, anno di uscita del primo lavoro sui manufatti artistici della Grotta del Pettirosso.
Storicamente molto famoso è anche il cranio di orso delle caverne con un’incisione sull’osso frontale: fu trovato nella caverna Pocala durante gli scavi di Carlo Marchesetti nel 1904 “con una cuspide di selce infitta nell’osso” e fu considerato la prova della contemporaneità dei cacciatori paleolitici con il grande orso delle caverne. Ma alcuni anni dopo questo reperto venne considerato un falso da Raffaello Battaglia, importante antropologo e direttore del museo e dell’istituto di antropologia dell’Università di Padova. Il falso era stato prodotto da Andrea Perko, alunno e poi collaboratore di Moser, già autore dei reperti artistici incisi della Grotta del Pettirosso, considerati dei falsi dalla comunità scientifica di Vienna nel 1910 tanto da far perdere la credibilità scientifica internazionale a Moser.
Nelle vetrine è esposto anche molto materiale archivistico: accanto ai già ricordati diari manoscritti, ci sono diversi disegni scientifici che evidenziano il talento artistico di Moser, fotografie originali della sua collezione privata, lettere. Materiale che permette di mettere in luce accanto al ricercatore l’uomo, con le sue passioni, le sue debolezze e le ingenuità di una figura rilevante del diciannovesimo secolo fino ad oggi quasi dimenticata.
L’allestimento poggia su importanti apparati didascalico illustrativi. Lungo le pareti si scopre la figura di Moser tra immagini storiche, disegni e frammenti degli scritti. A guidare il visitatore, segnando lo scorrere del tempo, sono proprio gli scavi nelle grotte. Ogni tappa è accompagnata da testi in italiano e inglese.
Quattro video aiutano a comprendere ancor meglio la personalità dell’archeologo.
I quaderni e i taccuini sono tutti esposti in due vetrine.
L’esposizione è accompagnata da un volume destinato ad essere un importante strumento di studio su Moser e sulle raccolte dei Musei Civici.