Una sala che unisce alcuni degli animali più grandi, rari e famosi ospitati nel nostro Museo è la Sala dei predatori e delle prede.
Si tratta di reperti antichi e preziosi, la cui origine talvolta è sconosciuta, mentre altre volte testimonia avventure, epoche e scoperte passate.
Vi sono animali che risalgono all’epoca coloniale italiana in Africa Orientale (come il rarissimo Stambecco del Semien), a viaggi asburgici di esplorazione e scoperta nell’Artide (l’Orso Polare, la Renna, il Bue Muschiato), all’epoca del boom economico del dopoguerra, dove improvvisati collezionisti, mercanti e cacciatori di trofei, depredavano con sanguinari safari, un mondo ancora privo di coscienza ecologica (Leone, Tigre, Cobo, Giaguaro, Okapi, Coccodrillo del Nilo).
Infine, anche carnivori provenienti da territori locali (Orso, Lupo), che ritroviamo protagonisti nelle nostre favole e, ancora oggi, nelle nostre paure più profonde e, attualmente, ingiustificate.
Un paziente lavoro di pulizia e restauro, dove l’arte tassidermica deve unire antichi saperi a moderne tecnologie, ha permesso il recupero e l’esposizione di questi animali. Tutti pezzi unici e, oggi lo si può dire: fortunatamente, insostituibili.
E poi ci sono le loro storie naturali.
Ogni animale, preda o predatore che sia, ha la sua storia da raccontare.
Adattamenti al freddo e alla giungla, evoluzione, difese, strategie e, purtroppo, resistenza agli sconvolgimenti operati dall’uomo.
Tutto accomunati da una regola inaspettata. Spesso, infatti, immaginiamo i predatori come killer spietati, capaci di disporre a piacimento delle loro prede, sino ad estinguerle qualora i carnivori divengano troppo abbondanti.
E invece no.
In un ecosistema equilibrato capita semmai il contrario: sono le prede che, se divengono troppo rare, possono estinguere i predatori.
I grandi carnivori, situati all’apice della catena alimentare, si riproducono e occupano territori solo in base alla disponibilità di prede. Prede che provano a cacciare, riuscendoci in meno della metà dei tentativi effettuati. Così, se le prede scarseggiano, i primi a fare una brutta fine sono proprio i predatori.
Quest’equilibrio può cambiare, se noi uomini modifichiamo gli ecosistemi e spostiamo i predatori fuori dai loro habitat.