Una meraviglia chiamata Carlotta

Ci fu un tempo, non troppo lontano, in cui il tratto di mare tra il golfo di Trieste e la Dalmazia, era popolato di Carcharodon carcharias, i grandi squali bianchi classificati, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, come Carcharodon rondoletti, e volgarmente chiamati “Cagnizza”.

Sono i più grandi pesci predatori del mondo e nuotavano in gran numero in queste acque, attratti dalle tonnare presenti nell’area: quattordici quelle attive sul litorale triestino e più di venti nel Quarnero. La presenza di grandi banchi di tonni che rimanevano intrappolati nelle valli da pesca e nelle baie costituiva un’attrazione per il predatore.

Il primo aprile del 1872 i Governi Marittimi di Trieste e Fiume, emisero una “notificazione” che prevedeva un conferimento di premi per la cattura e uccisione dei “pesci Cani”. Tale misura si applicava unicamente ad esemplari della specie “Charcharodon rondoletti” (l’attuale Squalo Bianco) catturati nelle acque territoriali della Monarchia Austro-Ungarica.

Le autorità stabilirono un compenso di: venti fiorini per le catture lunghe meno di un metro (oggi sappiamo che lo squalo bianco appena nato misura oltre 120 centimetri); trenta per esemplari da uno a quattro metri; e cento fiorini se lo squalo superava la misura di quattro metri. Nel caso di un avvistamento di uno squalo oltre i quattro metri, si bandiva una gara mirata alla cattura che portava il premio a 500 fiorini. 

Le autorità spesso non distinguevano le varie specie di squalo catturate, così come la popolazione, per cui catture inferiori al metro venivano confuse con lo Squalo Bianco e in molte occasioni anche esemplari più grandi venivano registrati agli uffici portuali sanitari in maniera erronea.

Tra il 1872 e il 1890 furono effettuate 33 catture di squali ricompensate (ma solo in undici casi si trattava davvero di squali bianchi), mentre tra il 1890 e il 1909 le catture – queste sì, accertate, di Squalo Bianco, dall’allora incaricato professor Janos Matisz – furono 22. In tutto, più di trenta squali bianchi presi in 37 anni, in media quasi uno all’anno. E alcuni erano enormi.

In particolare, lo squalo bianco catturato il 3 ottobre 1909 a Lukovo nella tonnara di Ivan Skomerza era lungo ben 6,6 metri: uno dei più grandi esemplari mai catturati al mondo. Tra gli esemplari catturati, persino una femmina gravida con tre piccoli nel ventre.
Ma veniamo ora all’incredibile gigante chiamato Carlotta.
Dalle ricerche effettuate dal Museo Civico di Storia Naturale e grazie alle donazioni e alle preziose e squisite testimonianze di Caterina e Tea Morin, la storia del nostro squalo comincia a dipanarsi e si materializza in una specie di Moby Dick dove al posto del Capitano Achab c’è il Capitan Barbarossa. E, soprattutto, al posto dell’Oceano c’è il Nord Adriatico.

 

Ma andiamo con ordine. Il 29 maggio 1906, il capitano Antonio Morin, commissario navigante dell’Imperial-Regia Guardia di Finanza, mentre solcava le acque dell’Adriatico tra l’Istria e Cherso/Cres (oggi Croazia) a bordo del Piroscafo ad elica “Quarnero” (costruito e varato a Muggia) catturò un grande squalo bianco. I termini della cattura restano misteriosi, ma ancora oggi sul dorso dello squalo si vedono fori di pallottole di fucile.

Il capitano Morin, nativo di Sansego, residente a Trieste e detto “Capitan Barbarossa” per la folta barba rossa che ne adornava il volto dandogli un tocco di imperiosità, tolse un dente allo squalo e ne fece una portafortuna che portò alla catena dell’orologio da taschino per il resto della sua vita.

L’intero pescecane – chiamato Carlotta da Morin, in onore di sua figlia – venne donato all’allora Civico Museo Ferdinando Massimiliano (oggi il nostro Museo Civico di Storia Naturale di Trieste) dove fu imbalsamato interamente, con un ardito procedimento che durò molti giorni e “appestò di odore di pesce marcio – come si legge in una lettera di protesta che ancora conserviamo – l’intera piazza Lipsia“ (oggi piazza Hortis) nella quale aveva sede il Museo. 

Carlotta fu l’unico della stirpe dei grandi squali mediterranei ad essere imbalsamato a futura memoria. Forse anche perché, grazie all’invenzione dell’elica (che proprio a Trieste J. Ressel sperimentò per primo), Carlotta giunse trainata da un piroscafo a elica e quindi non arrivò a terra ormai marcia e danneggiata (anche l’uccisione a fucilate l’ha preservata dai danni di arpioni e reti).

L’esemplare si rivelò essere una femmina adulta di Squalo Bianco (Carcharodon carcharias) di 5 metri e 40 centimetri di lunghezza e restò per 104 anni appesa al soffitto di una sala dell’allora Museo, sopravvivendo (un po’ malconcia) a due guerre mondiali e a cinque cambi di nazionalità.
Oggi vi è una sala tutta dedicata al più grande squalo bianco conservato al mondo.

Museo Accessibile

Un progetto che si articola in due percorsi divulgativi semplificati, utili a favorire la visita

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