Vetrina sulla fossilizzazione

La fossilizzazione è data da tutti quei processi che trasformano un organismo o una sua traccia in fossile. Affinché si verifichi, i resti organici devono essere sepolti molto rapidamente dal sedimento, e quindi soggetti a tutti quei processi chimici e fisici che trasformano i sedimenti in roccia (diagenesi) e gli organismi in FOSSILI.

È un processo che avviene molto raramente: secondo diversi autori, solo l’8% delle specie animali attuali ha la possibilità di trasformarsi in fossile; per altri, soltanto una specie del passato su 5000 ha potuto subire la fossilizzazione. La stima cambia se si parla di ambiente terrestre o marino. In una scogliera corallina, su 3000 specie, solo 50-70 hanno buone probabilità di fossilizzare, mentre in un ambiente terrestre, dove è generalmente assente la sedimentazione e quindi è molto rapida la decomposizione degli organismi, i numeri si riducono molto. Per es. sulla sponda di un grande fiume, su 10.000 specie viventi, si ipotizza che solo 10-15 potranno potenzialmente subire la fossilizzazione.
Poiché una buona fossilizzazione è data da una rapida sepoltura dell’organismo prima che intervengano i processi distruttivi, l’ambiente ideale è quello acqueo, con acque tranquille o stagnanti (settori tranquilli di un lago, mare profondo, laguna, palude, piana tidale, laguna di retroscogliera).

I processi di fossilizzazione interessano sia le parti molli di un organismo (pelle, muscoli, foglie ecc.) che le parti dure (gusci, ossa, denti ecc.).

Fossilizzazione delle parti molle

Le parti molli, costituite da carbonati e proteine, dopo la morte dell’organismo solitamente si decompongono per i processi putrefattivi ed ossidativi. La loro conservazione è eccezionale e, affinché si verifichi, è necessario un seppellimento rapido, una limitata decomposizione e una mineralizzazione precoce.
Può avvenire attraverso:

  1. PERMINERALIZZAZIONE o permeazione cellulare
  2. CARBONIFICAZIONE
  3. MUMMIFICAZIONE

 

1. Permineralizzazione o permeazione cellulare

La permineralizzazione consiste nella deposizione ed impregnazione, nei tessuti organici, dei minerali di cui sono ricchi i fluidi interstiziali circolanti nel sedimento dove l’organismo è sepolto. Questi minerali si depositano all’interno delle cellule con un inglobamento simile a quello che si fa in Istologia per sezionare i tessuti. Questo processo permette la formazione di fossili nei quali è conservata anche la struttura cellulare. Viene chiamato anche permeazione cellulare o “pietrificazione”.

La permineralizzazione può avvenire:

a) ad opera dei carbonati (concrezioni calcaree fossilifere): dopo il seppellimento, intorno all’organismo in via di decomposizione, s’instaurano particolari condizioni chimiche e fisiche (concentrazioni ioniche, pH, ecc.) che rendono l’ambente fortemente alcalino. A pH basico il carbonato di calcio (CaCO3) tende a depositarsi, sia nei tessuti dell’animale che nel sedimento attorno, andando a formare delle concrezioni (noduli) che racchiudono i fossili all’interno.

Esempi in vetrina: nodulo con pesce del Cretaceo Inferiore (145-100,5 milioni di anni fa) del Brasile; nodulo con gasteropode della Svizzera.

b) ad opera della silice (silicizzazione): tipica dei legni, che silicizzano in modo completo solo in depositi vulcanici piroclastici (che forniscono la silice necessaria) con spettacolari “foreste” fossili”. Le sostanze acide che si generano nella decomposizione dei legni, abbassando il pH, favoriscono la deposizione di silice dalle acque interstiziali, che andrà a rivestire i canali legnosi fino al loro completo riempimento. La permineralizzazione dei vegetali può avvenire anche ad opera della calcite. 

Esempi in vetrina: legno silicizzato del Pliocene (5,3-2,58 milioni di anni fa) del Sudan; legno opalizzato del Triassico (251,2-201,3 milioni di anni fa).

c) ad opera della pirite o altri minerali (piritizzazione)
d) ad opera del ghiaccio (crioconservazione): tipica dei Mammut trovati nelle alluvioni ghiacciate in Siberia ed Alaska le cui carcasse, dopo la morte, sono state conservate dalla decomposizione prima dall’acqua gelida e poi dal congelamento delle alluvioni, rimaste nelle stesse condizioni fino ai giorni nostri.

2. Carbonificazione

Avviene per fermentazione batterica anaerobica della sostanza organica, con progressiva perdita di idrogeno, ossigeno, azoto e conseguente graduale arricchimento in carbonio.
E’ caratteristica soprattutto dei vegetali (dando origine al carbon fossile) ma può formare anche, ad esempio, le sottili pellicole carboniose attorno agli scheletri fossilizzati degli ittiosauri, che ne fanno intuire i profili dei corpi.

Al museo di Trieste si possono ammirare due scheletri fossili completi di ittiosauro da Holtzmaden (Germania) del Giurassico inferiore (200-170 milioni di anni fa).

Nella vetrina della fossilizzazione: semi di conifere da Köflach (Austria); legno carbonificato.
3. Mummificazione

E’ un processo che avviene in natura in condizioni di disidratazione in ambienti molto aridi, sia caldi che freddi. Nei deserti sono frequenti carcasse mummificate di animali di vario tipo. La loro conservazione per tempi geologici, però, è improbabile perché il sedimenti poroso che li seppellisce non riesce ad impedire l’ossidazione, che lentamente ma inevitabilmente distrugge, nel tempo, ogni tipo di mummia.

Fossilizzazione delle parti dure

La mineralizzazione, il principale processo che porta alla fossilizzazione delle parti dure, può avvenire per:

  1. sostituzione: nuovi minerali si sostituiscono a quelli presenti nell’organismo;
  2. impregnazione: in un organismo, nelle parti dure mineralizzate come ossa o gusci, le micro cavità formate dalla decomposizione dalla sostanza organica vengono impregnate dai sali minerali contenuti nelle soluzioni circolanti nel sedimento.
    Le modalità sono diverse a seconda dei vari ambienti diagenetici.
1. Mineralizzazione per impregnazione

I sali che impregnano la sostanza organica dipendono dal chimismo delle acque circolanti nel sedimento. I più comuni sono: calcite, silice, barite. E’ tipica dei tessuti spugnosi o porosi (ossa, placchette di echinodermi ecc.). I fossili impregnati di minerale sono più compatti, più solidi, più resistenti e più pesanti dell’organismo originale. E’ un processo tipico della fossilizzazione delle parti scheletriche dei vertebrati.
Al museo di Trieste sono esposti due scheletri montati di Ursus spelaeus (orso delle caverne), della Caverna Pocala (Duino-Arisina, Trieste, Italia) orso fossile estinto nel Pleistocene Superiore (circa 24.000 anni fa).

Nella vetrina sulla fossilizzazione: mandibola di Ursus spelaeus della Caverna Pocala.
2. Mineralizzazione per sostituzione

È un processo molto comune nelle rocce sedimentarie e prende nomi diversi a seconda del minerale coinvolto:

a) calcite – calcitizzazione. Durante il seppellimento più profondo i liquidi interstiziali possono diventare soprasaturi di carbonato di calcio, provocando la precipitazione della calcite.
b) silice – silicizzazione. Avviene in ambiente acido, mediante l’eliminazione del carbonato di calcio della conchiglia e la simultanea deposizione della silice. Così conchiglie calcitiche e aragonitiche sono completamente sostituite da silice secondaria.

Esempi in vetrina: ammonite silicizzata del Giurassico (201,3-145 milioni di anni fa) dell’Inghilterra; bivalvi opalizzati del Giurassico (201,3-145 milioni di anni fa) dell’Australia.

c) dolomite – dolomitizzazione. Avviene per dissoluzione del carbonato di calcio e successiva precipitazione del carbonato doppio di calcio e magnesio (dolomite). Poiché questa sostituzione avviene in condizioni di seppellimento, la dolomite è considerata un minerale secondario o diagenetico.
In vetrina: Megalodon in dolomia del Norico (227-208 milioni di anni fa) delle Dolomiti (Italia).

d) pirite – piritizzazione. La piritizzazione avviene in ambiente riducente, quando l’idrogeno solforato (H2S) liberato dalla fermentazione delle parti molli si combina con i sali di ferro presenti nelle acque percolanti formando disolfuro di ferro (FeS2), pirite. Questo processo può essere considerato al limite tra sostituzione ed incrostazione, perché solitamente la pirite riveste superficialmente il fossile e raramente si ha una sostituzione completa.

Esempi in vetrina: ammonite piritizzata del Giurassico (201,3-145 milioni di anni fa) della Russia; ammonite piritizzata del Giurassico (199,6-145,5 milioni di anni fa) della Germania.

Impronte e tracce

Per fossili si intendono anche le tracce e le impronte lasciate dagli organismi nel sedimento litificato, che rappresentano la prova della loro presenza in un dato ambiente e del loro modo di vita.

A questa categoria appartengono le orme dei vertebrati, le piste lasciate da un organismo durante la locomozione, le gallerie prodotte dagli organismi nei sedimenti non ancora consolidati, gli escrementi fossilizzati (coproliti), le uova fossili e, in generale, tutte le testimonianze dell’attività vitale di un organismo.

In vetrina: controimpronda di zampa (pes) di vertebrato (ichnospecie Chirotherium barthii) del Triassico (251,9-201,3 milioni di anni fa) della Turingia (Germania); coprolite di rettile dell’Eocene (56-33,9 milioni di anni fa) dell’America.

Modelli e pseudogusci

In un sedimento litificato, la presenza di un resto organico può venir registrata anche come impronta esterna, modello interno (calco) o modello composito.

a) IMPRONTA ESTERNA: ad esempio l’impronta fossile del guscio di un bivalve lasciata nel sedimento litificato.
b) MODELLO INTERNO: si forma, ad esempio, quando la cavità interna del guscio di una conchiglia si riempie di sedimento e fossilizza, producendo un calco.

In vetrina: impronta di bivalve (Cardium sp.) del Pliocene (5,33-2,58 milioni di anni fa) dei dintorni di Roma (Italia); impronta esterna di gasteropode del Norico (227-208 milioni di anni fa) delle Dolomiti (Italia);
Modello interno e parte del guscio di bivalve (rudista, Caprinidae) del Cretacico superiore (100,5-66 milioni di anni fa); modello interno di bivalve (Chlamys sp.) del Pliocene (5,33-2,58 milioni di anni fa) di Cagliari (Italia).

c) MODELLO COMPOSITO: è dato nell’unione delle due forme precedenti. In seguito alla dissoluzione graduale del guscio, l’impronta esterna si avvicina al modello interno a cui alla fine aderisce.

In vetrina: modello composito di bivalve (Daonella lommeli) del Ladinico (242-237 milioni di anni fa) di Braies (Bolzano, Italia).

Altri processi di fossilizzazione

a) INGLOBAMENTO IN PETROLIO GREGGIO
Avviene quando, dopo la fuoriuscita del petrolio greggio da giacimenti superficiali, si formano laghetti viscosi, spesso invisibili, perché coperti da fogliame e a volte mascherati da piccoli specchi di acqua piovana. Questi bacini diventano trappole naturali per gli animali, che vengono attratti dall’acqua rimanendo invischiati nel petrolio greggio.

In vetrina: zampa di uccello in bitume del Pleistocene (2,58-11.000 anni fa) della California.

b) INGLOBAMENTO IN RESINE VEGETALI
Nelle resine prodotte da antiche conifere, chiamate ambre, si conservano soprattutto resti vegetali (fiori, pollini) ed insetti ed, eccezionalmente, piccoli vertebrati. La resina, colando viscosa lungo il tronco, ingloba gli organismi, conservandoli perfettamente nel loro aspetto esterno.

In vetrina: ambra con insetti dell’Oligocene (33,9-23,03 milioni di anni fa) della Prussia orientale.

c) INCROSTAZIONE
Solitamente si forma per precipitazione del carbonato di calcio da acque sature in prossimità di sorgenti, cascate o bacini lacustri, ricoprendo gli organismi (solitamente resti vegetali come foglie o ramoscelli) da una “crosta” di calcite. Quando il processo è particolarmente intenso, si possono formare estesi depositi di calcari concrezionati, chiamati travertini.

Nelle grotte carsiche, invece, possono formarsi le “brecce ossifere”, costituite da accumuli di ossa di vertebrati terrestri e clasti rocciosi, cementati da concrezioni calcitiche.

In vetrina: travertino del Quaternario di Vicovaro (Roma); cranio di capra incrostato di calcite del Pleistocene (2,58-11.000 anni fa) di Terreseo (Sardegna, Italia).

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